Divisione Ereditaria

Immobili non comodamente divisibili

La divisione ereditaria ha lo scopo disciogliere lo stato di comunione sui beni della massa ereditaria tra tutti i soggetti che partecipano alla comunione stessa.

La Suprema Corte ha ormai chiarito che la divisione ha una natura dichiarativa (e non traslativa) con effetto retroattivo, ma solo con riguardo alla titolarità dei beni, pertanto non opera alcun trasferimento di proprietà, ma si limita a rendere proprietario l’erede del bene assegnato dal momento della domanda di divisione.

La divisione può essere giudiziale, operata dal testatore o contrattuale (ovvero statuita dai coeredi stessi).

Ogni coerede ha il diritto (imprescrittibile) di chiedere in qualsiasi momento lo scioglimento della comunione, salvo che non vi siano particolari circostanze per le quali tale diritto rimane sospeso per un determinato lasso di tempo (per esempio può essere differito per non più di 5 anni dal Giudice per particolari esigenze di un coerede; può essere determinato direttamente dal testatore quando fra i coeredi vi siano minorenni; può essere sospeso per non più di dieci anni per espresso accordo di tutti coeredi; ecc.).

A pena di nullità, devono partecipare alla divisione tutti i coeredi (o loro successori universali o particolari).

Possono, inoltre, intervenire i creditori del testatore o terzi aventi causa dei coeredi.

In assenza di accordo, la divisione avverrà mediante ricorso all’Autorità Giudiziaria tramite un procedimento sostanzialmente bifasico, ove nella prima fase il Giudice sarà investito delle eventuali questioni sull’esistenza, qualità e misura dei diritti vantati dalle singole parti, mentre la seconda fase avrà lo scopo di comporre le quote ereditarie da spartire.

Riducendo, per esigenze di sintesi, l’oggetto ai soli beni immobili, risulta agevole argomentare (semplificando) come qualora l’oggetto della divisione fosse un compendio immobiliare comodamente divisibile (per esempio un intero edificio condominiale) la divisione avverrebbe mediante l’assegnazione ai ciascun coerede di immobili per un ugual valore totale o semmai con un residuo conguaglio in denaro per raggiungere un’equa divisione.

 Ma che succede se l’immobile è uno e non risulta essere comodamente divisibile?

Vediamo con ordine cosa si debba intendere per “non comoda divisibilità dell’immobile”, quali criteri siano previsti dalla legge per la divisione e qualche esempio pratico (i principi che seguono, è bene segnalarlo, trovano applicazione anche nel caso di divisioni giudiziali di beni non ereditari, rispondendo ad un0esigenza di razionalizzazione e certezza della materia, come più volte ribadito dalla Giurisprudenza di Legittimità – Cassazione Civile: Sentenze n. 12758/01, n. 2990/1990 ecc.).

 Concetto di “non comoda divisibilità”

L’ipotesi di comoda divisibilità del bene ricorre solo quando sia possibile la formazione di un numero quote omogenee pari a quello dei condividenti, ovvero tante quote quanti sono i partecipanti che, pertanto, diventerebbero pieni proprietari dei beni assegnati.

Se tale omogeneità non fosse realizzabile nei confronti anche di un solo coerede, si verserà nell’ipotesi di “non comoda divisibilità”.

Avremmo, pertanto, casi di non comoda divisibilità qualora il frazionamento del bene fosse oggettivamente impossibile, o comportasse un notevole deprezzamento del bene, o fosse impossibile formare porzioni di suscettibili di libero godimento.

La divisione del bene, infatti, dovrebbe potersi operare senza dover affrontare problematiche tecniche eccessivamente gravose e costose e senza limiti eccessivi al diritto di proprietà (servitù ecc.).

Criteri applicati alla divisione

I criteri stabiliti dall’art. 720 c.c., in base ai quali operare l’attribuzione degli immobili “non comodamente divisibili” sono:

  1. il conferimento per l’intero con l’addebito dell’eccedenza ad uno dei condividenti aventi diritto alla quota maggiore;
  2. l’assegnazione nelle porzioni di più coeredi se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione;
  3. la vendita all’incanto.

L’elencazione di tali rimedi rispecchia l’ordine di preferenza che il legislatore ha elaborato per lo scioglimento della comunione ereditaria in presenza di un bene non comodamente divisibile.

La vendita all’incanto rimane, dunque, l’estrema ipotesi quolora non siano percorribili i primi due criteri.

 Casi pratici

La Corte di Cassazione ha ritenuto la comoda divisibilità di un fabbricato rurale, con assegnazione a favore di ciascuno dei condividenti un distinto corpo di fabbrica che, mantenendo inalterata l’originaria destinazione abitativa e agricola del manufatto, era da considerarsi autonomo e indipendente dall’altro (Cass. civ., Sez. II, 22 luglio 2005, n. 15380).

La Suprema Corte ha sancito la non comoda divisibilità di un maso d’alpeggio sito in Trentino, “qualificato dall’unitarietà dell’insieme e dall’interdipendenza funzionale tra le componenti i due piani richiesta dall’originaria sua destinazione, tipica dei luoghi e in quanto tale apprezzabile nel suo caratteristico complesso” (Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2004, n. 18135).

In ordine a un immobile commerciale destinato a magazzino e mostra di mobili la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto la non comoda divisibilità in quanto la divisione avrebbe comportato lo snaturamento e la grave diminuzione di funzionalità del bene e del valore dello stesso con costose opere di separazione degli impianti tecnici (Cass. civ., Sez. II, 27 ottobre 2004, n. 20821, in Banca Dati Lex 24 ).

La Corte di Cassazione ha ritenuto non comodamente divisibile l’immobile oggetto di causa sulla base del fatto che l’edificio in questione, costituito da un appartamento a uso abitativo e da alcuni locali accessori ai piani seminterrato, terreno e sottotetto destinati a rimesse, depositi e stalle, avrebbe subìto un deprezzamento sensibile se si fosse proceduto a una sua divisione attribuendo l’appartamento a un condividente e gli altri locali all’altro condividente, considerato che una conveniente valorizzazione di tutti tali beni era correlata a una loro utilizzazione unitaria (Cass. civ., Sez. II, 14 aprile 2004, n. 9203).

In ordine alla divisione di un compendio immobiliare costituito da terreni agricoli con fabbricato rurale e costruzioni accessorie, la Suprema Corte ha cassato la pronuncia del Giudice di secondo grado in quanto nella medesima si era omesso di verificare se il frazionamento in “parti” distinte consentisse per ogni parte il mantenimento, sia pure in misura proporzionalmente ridotta, della funzionalità che aveva il “tutto”. Non era, infatti, stato considerato che strutture normalmente essenziali per la conduzione di un’azienda agricola, come l’unica abitazione rurale, l’unica stalla e l’unico frantoio, peraltro da suddividere a sua volta a metà, erano state incluse ognuna in un diverso lotto, sicché gli altri ne erano restati privi con notevole deprezzamento, sia per l’intero compendio (destinato alla gestione dell’unitaria azienda agricola) sia per le singole porzioni derivanti dai frazionamenti (Cass. civ., Sez. II, 7 febbraio 2002, n. 1738).

La Suprema Corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado il quale, in presenza di un compendio ereditario costituito da diversi immobili tutti aventi carattere monumentale e sottoposti a vincolo di interesse storico e artistico, aveva ritenuto di soddisfare l’interesse dei coeredi mediante l’assegnazione a ciascuno di essi di un intero edificio. Si era, infatti, ritenuto che i diritti dei coeredi sarebbero stati meglio soddisfatti attraverso l’assegnazione, non frazionata, nella quota di ciascuno di un intero edificio, costituente un corpus unico non scindibile sul piano funzionale e non suscettibile di divisione non pregiudizievole del valore delle singole porzioni, considerato il carattere monumentale di entrambi gli immobili e la loro sottoposizione al relativo vincolo per il loro interesse storico e artistico (Cass. civ., Sez. II, 3 aprile 1999, n. 3288).

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