L’azione di rivendicazione

L’azione di rivendicazione

L’azione di rivendicazione, disciplinata dall’art. 948 c.c., è diretta a ottenere una sentenza che accerti la titolarità in capo al rivendicante della cosa rivendicata con conseguente condanna alla consegna del bene.

Per l’esercizio dell’azione di rivendicazione non è necessario che il proprietario sia stato spossessato del bene senza o contro la volontà.

Anche quando il possesso del bene sia stato trasferito in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente, il proprietario ha la possibilità (ove eventi giuridici successivi abbiano determinato il venir meno del diritto dell’accipiens) di proporre l’azione reale di rivendica per riottenere il possesso del bene quale proprietario, anziché di agire con l’azione personale di restituzione.

L’attore proprietario ha, addirittura, la facoltà di modificare in corso di giudizio la domanda di restituzione originariamente proposta in domanda di rivendicazione, a fronte delle eventuali eccezioni del convenuto che opponga un proprio titolo di acquisto della proprietà (es. usucapione) (Cass. 26 aprile 1994, n. 3947; Cass. 3 maggio 1991, n. 4836).

La prova giudiziale può risultare molto gravosa

L’onere della prova si atteggia diversamente a seconda che la proprietà sia stata acquistata a titolo originario o a titolo derivato.

Nel primo caso la prova della proprietà si riduce alla dimostrazione dei fatti che stanno alla base del titolo (usucapione, accessione, incrementi fluviali).

Nel secondo caso, invece, l’attore non può limitarsi a rivendicare il titolo, ma deve provare che il suo dante causa poteva disporre della proprietà, quale legittimo proprietario, risalendo poi con gli stessi presupposti a tutti i precedenti proprietari fino a un acquisto a titolo originario.

La Suprema corte precisa, infatti, che “il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire a un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione” (Cass. 5 novembre 2010, n. 22598; Cass . 22 settembre 2010, n. 20037; Cass. 13 ottobre 1999, n. 11521).

Tale prova potrà rivelarsi decisamente ardua per beni molto datati e/o interessati da numerosi negozi, tanto da essere definita “probatio diabolica”.

Il rigore si attenua, però, quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore o a uno dei danti causa dell’attore in quanto.

In tale ipotesi, non sussistendo tra le parti alcun conflitto in ordine all’appartenenza precedente, ma solo a quella attuale, rimane sufficiente in tale caso che il rivendicante dimostri come il bene medesimo abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto (Cass. 12 marzo 2008, n. 6521).

Ad esempio, si è ritenuto che il rigore si attenua nel caso in cui la controversia riguardi un bene già appartenente a un dante causa comune alle parti, il cui diritto sia incontestato e sia stato trasferito per successione ereditaria ai contendenti, i quali ne abbiano fatto oggetto di contratto di divisione. In tale ipotesi, il rivendicante non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori sino a un acquisto a titolo originario.

Chi può esperire tale azione

La legittimazione attiva all’azione di rivendicazione spetta al proprietario del bene.

La legittimazione attiva rispetto a beni in stato di comunione compete a ogni singolo condomino la cui quota di interessi è compenetrata in tutti i beni che costituiscono oggetto della comunione Poiché il singolo comunista, dato lo stato di comunione, non può fare a meno di esercitare le sue richieste perché tutto il bene sia restituito alla comunione, anche se l’istanza è proposta da uno solo (anziché da tutti i condomini) la pronuncia per la consegna del bene sarà valida e svolgerà pienamente i suoi effetti, senza che occorra alcuna integrazione del contraddittorio in giudizio.

Contro chi deve essere esperita

Legittimato passivamente all’azione di rivendica (che è, per sua natura, reale e non personale) è chiunque di fatto, comunque, possegga o detenga il bene rivendicato, onde abbia la facultas restituendi.

Tale legittimazione, pertanto, ricorre anche nei confronti del mero detentore. In buona sostanza, si è precisato che nell’azione di rivendica è passivamente legittimato colui che si trova nella materiale detenzione della cosa e che, per ciò stesso, può essere condannato alla restituzione del bene anche se ne abbia temporaneamente consentito ad altri la precaria utilizzazione (Cass. 9 settembre 1997, n. 8748).

Non bisogna sottovalutare gli effetti della trascrizione della domanda

La Corte d’Appello, ribaltando la sentenza di primo grado, avvallava il ragionamento del Condominio, poiché a suo avviso: non essendovi dubbio

Risulta estremamente consigliabile procedere all’immediata trascrizione nei registri immobiliari dell’azione di rivendicazione.

La mancata trascrizione della domanda di rivendicazione di immobile, infatti, rende inopponibile la sentenza che l’abbia accolta, nei confronti di chi abbia nel frattempo acquistato il bene rivendicato con atto trascritto. Ovviamente, la compravendita trascritta prima dell’emissione della sentenza di accoglimento della domanda di rivendicazione travolgerà detta sentenza solo in presenza di acquisto a domino, atteso che, in ipotesi di acquisto a non domino (e salva l’eventuale usucapione) la suddetta trascrizione, priva di effetti costitutivi, non può di per sé integrare il titolo del diritto di proprietà.

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